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    Cagliari Marina

itinerario turistico “Villanova”

Le origini del quartiere risalgono al Medioevo come fa capire il nome utilizzato in genere per i centri di nuova fondazione. Rispecchia le caratteristiche degli insediamenti toscani e si sviluppa sotto le pendici della collina di Castello, avvolgendola con le sue strade parallele disposte su diversi livelli. Le facciate delle case hanno quindi un numero di piani differenti a mano a mano che la pendenza si addolcisce. Villanova si è sviluppata ulteriormente alla fine dell’Ottocento, favorendo la nascita del quartiere di S. Benedetto.

L’itinerario comincia dove termina il precedente di Stampace.Lasciata la chiesa di S. Lorenzo, si può imboccare la strada limitrofa al carcere di Buon Cammino e ricavata nella roccia calcarea, che conduce al Giardino pubblico, inaugurato nel 1839, dove sorge la palazzina della Galleria comunale d’arte. La facciata della palazzina fu realizzata nel 1822 su disegno neoclassico di Carlo Pilo Boyl per dare veste decorosa alla polveriera retrostante. Interessata nel 1933 da un radicale intervento ad opera di Ubaldo Badas, divenne sede della Galleria Comunale d’arte che, dopo alterne vicende, oggi custodisce due nuclei particolarmente significativi delle collezioni civiche: la Collezione d’Arte Francesco Paolo Ingrao con la biblioteca, ricca di circa quattromila volumi, e la sezione di opere di pittori e scultori del Novecento sardo.

Lungo il costone di roccia sotto il Buon Cammino si aprono i “grottoni”, un insieme di vasti ambienti intercomunicanti originati dall’attività di cava cominciata nel Medioevo per ricavarne blocchi di pietrame da costruzione. Gli spazi sono molto articolati e presentano pilastri risparmiati nella roccia. La cava fu variamente riutilizzata e durante la seconda guerra mondiale fu rifugio contro i bombardamenti che colpirono ripetutamente la città, poi abitazione per i senza tetto e infine discarica. Percorso l’ombroso viale alberato, dove crescono interessanti e spesso poderosi esemplari di piante, come il mastodontico spino di Giuda (Gleditsia triacanthos), alto circa 15 metri, il gruppo di Ficus e i carrubi, si arriva all’ingresso formato da pilastri in calcare e arcate in laterizio che reggono una travatura di legno, e nicchie che alloggiano ciste.

Fu sistemato nel 1930 da Ubaldo Badas (al quale è intitolato la via antistante), come la bella passeggiata del Terrapieno che da qui parte, snodandosi lungo le mura orientali del Castello, per arrivare fino al Bastione di Saint Remy attraverso un percorso che alterna sedili di calcare e laterizio ad alberi di alto fusto, piante grasse e cespugli.  Presa la via S. Saturnino a destra e imboccando la ripida discesa della via Macomer, si trovano la chiesa e il convento dei Frati Minori Osservanti di S. Mauro.

Il complesso religioso, fondato a metà del sec. XVII, occupa un’area molto vasta, un tempo nella parte più estrema del quartiere. Nella cappella a sinistra è conservata una reliquia di S. Salvatore da Horta, che qui morì nel 1567. Nel convento un chiostro ad arcate con un pozzo centrale comunica con gli ambienti interni che recano tracce di antiche strutture in pietra. Usciti dalla chiesa, è consigliabile una digressione all’itinerario interno al quartiere: scendendo lungo la via Macomer e, subito a sinistra, nella via Ozieri, e poi proseguendo sulla via Bacaredda fino alla via S. Alenixedda, si trova il Centro della cultura contadina, in prossimità del Teatro lirico, inaugurato nel 1993 in sostituzione del Civico, distrutto dai bombardamenti del 1943.

Negli ambienti costruiti in più riprese oggi è allestito il centro di conservazione di oggetti legati al mondo rurale, divisi secondo un percorso museale che occupa il cortile, il chiostro e il primo piano. Nel cortile sono collocati macchinari riguardanti la produzione industriale sarda, e su di esso si sviluppano sei sale che espongono strumenti usati per lavorare la terra e per misurare e trasformare i prodotti agricoli. Sul chiostro sono ubicati due ambienti per la vinificazione e la distillazione ed un locale dove sono esposti numerosi finimenti per animali da lavoro. Al primo piano, oltre alla vasta collezione di vini sardi, è visibile una mostra fotografica sull’edificio e sulla vita rurale e la collezione di editoria storica dell’agricoltura. Vi è inglobato un pozzo romano databile tra il I e il III sec. d. C.

Risalendo per la strada già percorsa si imbocca, a sinistra rispetto alla chiesa di S. Mauro, la via S. Giovanni, una delle caratteristiche strade del quartiere che ancora oggi conserva la tipiche case d’abitazione a schiera, affacciate in genere per due o tre piani, ciascuno con due aperture.In uno slargo della strada, alla confluenza della via S. Giacomo si trova la piccola chiesa di S. Cesello, risalente alla fine del Seicento. Scendendo per la via S. Giacomo si giunge in una piazza che reca ancora le tracce delle distruzioni dei bombardamenti del 1943 ed ha come fondale la chiesa di S. Domenico, uno tra i più felici interventi della ricostruzione del dopoguerra.

Chiesa e chiostro di S. Domenico.

La chiesa, fondata dai Domenicani a metà del sec. XIII, è stata semidistrutta così che la veste odierna è il frutto di un rifacimento terminato nel 1954, su progetto dell’architetto toscano Raffaello Fagnoni che lega abilmente le forme moderne ai resti dell’edificio. Proseguendo si trova il fianco della chiesa parrocchiale di S. Giacomo, affacciata su una piazza che è il cuore dell’antico quartiere. Affiancato da un campanile tardo-gotico, datato tra il 1438 e il 1442, l’edificio ha un prospetto ottocentesco di gusto. Degno di nota è il frammento di un retablo disperso raffigurante la Madonna del giglio, attribuita a Joan Figuera (seconda metà del sec. XV).

Accanto alla chiesa sorgono abbinati due oratori intitolati alle Anime Purganti e al S. Crocifisso, espressione tipica della religiosità seicentesca favorita dalla Controriforma, realizzati a cavallo fra Seicento e Settecento. Tornati lungo il fianco della chiesa si raggiunge il Portico Romero, che ricorda solo nel nome le antiche fortificazioni del quartiere, e si prosegue a destra lungo la via Garibaldi, una delle strade commerciali più animate della città. Attraverso la via Oristano si giunge nella piazza Gramsci dove compare la notevole mole della sede della Legione dei Carabinieri, inaugurata nel 1933. L’imponente edificio, realizzato su progetto degli ingegneri Angelo Binaghi e Flavio Scano, avvolge l’angolo tra le vie Sonnino e Deledda con grandi colonne di ordine gigante che sottolineano l’altezza del fastigio, recante motti in latino e in italiano.

A fianco è il Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, inaugurato nel 1935, su disegno di Ubaldo Badas, e formato da due ante  in pietra di Serrenti e trachite, che recano i  nomi e le date delle principali località di guerra.. Imboccando la via S. Lucifero si trova l’ingresso dell’Exmà, centro d’arte e cultura comunale allestito in un edificio neogotico del sec. XIX. E’ il risultato della ristrutturazione del mattatoio civico, costruito a metà Ottocento da Domenico Barabino, e ristrutturato nel 1985 dall’arch. Libero Cecchini.

Dietro il monumento ai caduti si sviluppa il Parco delle Rimembranze, dove è visibile una croce giurisdizionale, che fronteggia la chiesa di S. Lucifero, interessante complesso religioso sorto su un antico luogo di sepolture. Nella piazza S. Cosimo, sistemata a verde, si vede il più antico monumento cristiano della città, la basilica di S. Saturnino, posta ad un livello inferiore al quale si accede tramite una gradinata semicircolare sistemata intorno al 1930. Lasciata alle spalle la basilica si può  proseguire a sinistra e poi a destra nel  viale Cimitero, che costeggia il Cimitero monumentale di Bonaria, dove sono visibili interessanti esempi di arte funeraria.

Utilizzato a partire dal 1829, il recinto più antico contiene interessanti esempi di tombe e cappelle signorili che rispecchiano il gusto ottocentesco con la ripresa di stili del passato – dal neogotico al neobizantino – con caratteristiche molto simili ai palazzi signorili contemporanei, spesso appartenenti alle stesse famiglie. Giunti al piazzale del cimitero, a sinistra si può imboccare il viale alberato che conduce al santuario e alla basilica di Bonaria, sul colle che fu il primo insediamento dei Catalani-Aragonesi prima della conquista del Castello nel 1326.

Il complesso consta di due distinti edifici risalenti a epoche diverse, ma entrambi molto frequentati dai numerosissimi fedeli della Madonna, provenienti da tutta l’isola. La basilica, cominciata nel 1704 ma conclusa soltanto nel 1960 con notevoli differenze rispetto al progetto originario, ha una monumentale facciata con la loggia delle benedizioni sovrastata dallo stemma dei Mercedari ed un porticato che immette nel vastissimo interno con tre navate separate da coppie di colonne, transetto cupolato e profondo presbiterio. Un baldacchino monumentale sovrasta l’altare maggiore. Sui lati sorgono cappelle voltate a vela. Fino al 1943 la cupola e le volte recavano dipinti, stucchi e ori, distrutti dai bombardamenti e non ripristinati.

Nel vestibolo attiguo alla sacrestia è conservata la cassa di legno riguardante l’approdo del simulacro della Madonna: da qui si può accedere al suggestivo chiostro che ha un pozzo centrale. Lungo il porticato è l’ingresso al Museo. In diverse sale sono esposti oggetti d’arte sacra e soprattutto moltissimi ex voto di fattura spesso ingenua e di epoche diverse, che testimoniano la profonda fede nella Madonna di Bonaria, soprattutto da parte della gente di mare. Particolarmente interessante la serie di modellini di navi e vascelli di epoche e tecnologie diverse. Vi sono raccolte anche le testimonianze archeologiche rinvenute nel colle di Bonaria, frequentato già in età prenuragica e successivamente interessato da una necropoli punico-romana. Infine sono visibili i corpi mummificati di rappresentanti dell’aristocratica famiglia degli Alagon, morti di peste nel Seicento.

All’esterno, a fianco delle due chiese, si sviluppa il lungo fronte del convento dei Mercedari. Dall’amplissimo sagrato della basilica si gode una vista verso il mare: la scalinata sottostante riconduce verso il viale Diaz, una delle arterie principali della città. L’ampia e scenografica scalinata, sistemata tra il 1962 e il 1967 su progetto degli architetti romani Adriano e Lucio Cambellotti, si snoda per rampe movimentate che creano spazi di sosta e di passaggio, sottolineati da una concrezione in conglomerato di cemento e schegge di pietre sarde come granito e calcare. Il previsto ninfeo per i veli d’acqua a cascata, non realizzati, è oggi riempito da vegetazione.

La scalea ingloba anche tombe paleocristiane, casualmente ritrovate durante i lavori, e culmina con la colonna che segna l’approdo miracoloso della cassa contenente la statua della Madonna di Bonaria, avvenuta nel 1370. Prendendo sulla destra si può raggiungere uno spazio sistemato a verde che ha come fondale la sede della banca CIS, realizzato su progetto dell’architetto Renzo Piano (1985-92), utilizzando il calcare di Orosei nelle strutture e tecnologie d’avanguardia negli impianti.