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    Cagliari Marina

Itinerario turistico “Stampace”

Il quartiere, o “appendice”, di Stampace è uno dei luoghi storici della città e si sviluppa a partire dal lato occidentale del Castello, sotto il Bastione di S. Croce e lungo la via S. Margherita, che, aperta intorno al 1960 con la demolizione di edifici religiosi e civili, oggi forma un taglio netto rispetto al tessuto più compatto che si sviluppa in strade parallele e perpendicolari rispetto alla via Azuni, principale arteria. E’ la parte più antica di origine medioevale, ampliatasi dall’Ottocento in poi verso il mare, tanto da causare una denominazione che distingue Stampace alto e Stampace basso, che peraltro non ha alcun fondamento storico.

L’itinerario può cominciare dal monumento a Carlo Felice, Re di Sardegna dal 1821 al 1831,  eretto a ricordo della strada omonima conducente a Porto Torres e finanziata dal sovrano. La statua in bronzo, opera di Andrea Galassi, risale al 1833 e rappresenta il re in vesti di guerriero romano nell’atto di indicare la via Manno: in realtà dovrebbe accennare all’inizio della “strada reale”, sottolineata anche dalla colonna miliaria collocata nella piazza Yenne. La statua poggia su un alto piedistallo disegnato dall’arch. Gaetano Cima e reca una lunga iscrizione che ricorda il sovrano.

La piazza Yenne è il cuore della città ottocentesca e segna il punto d’incontro tra i quartieri della Marina e di Stampace: ha una forma rettangolare cinta da alberi e si sviluppa davanti al monumento di Carlo Felice. Nella parte centrale è collocata una scultura moderna (Carlo Loi); sulla destra una breve salita conduce alla chiesa di S. Chiara, già annessa al monastero delle Clarisse, che dismesso nel 1911, passò in proprietà al Comune di Cagliari. Sul luogo del monastero oggi è situato il mercato civico, mentre sul lato un ascensore conduce alla città alta in alternativa alla ripida scalinata che affianca la chiesa, denominata popolarmente “scala di Giacobbe”. All’interno si possono notare ricche decorazioni a stucco nelle paraste, nei capitelli e nel fregio che corre lungo il perimetro interno.

Un grande retablo in legno dorato occupa la parete del presbiterio: nello scomparto centrale è una scultura con la Madonna di Loreto e la santa casa. Nel 1984 in occasione del restauro, furono messe in luce strutture antiche, parzialmente accessibili da una scala vicina all’ingresso. L’edificio è oggi utilizzato per conferenze, mostre ed esposizioni. Nello spazio all’aperto dove è collocato l’ascensore sono visibili il campanile a vela e resti della costruzione medioevale in pietra calcarea.

Rientrando nella piazza Yenne e dirigendosi nella via Azuni,  a destra si trova la chiesa parrocchiale di S. Anna, situata in cima ad una scalinata con effetto scenografico evidente. L’attuale chiesa sorge sul luogo di una più antica già menzionata in un documento del 1263. Cominciata nel 1785 e consacrata nel 1817, è detta dai cagliaritani “sa fabbrica de Sant’Anna” proprio per il lungo tempo impiegato per la costruzione, ultimata solo nel 1938 con il campanile di destra. Sia la facciata che l’interno  mostrano il tipico andamento mistilineo del Barocchetto piemontese: l’edificio è infatti attribuibile all’architetto Giuseppe Viana, presente a Cagliari negli ultimi decenni del Settecento e autore della chiesa del Carmine di Oristano, molto vicina alle forme dell’edificio cagliaritano.

Imboccando la strada a destra si trovano in sequenza la chiesa con l’ipogeo di S. Restituta e la chiesa con il “carcere” di S. Efisio, entrambe affacciate su una piccola piazza. Su una parete in prossimità dell’ingresso della Domus et carcer sanctae Restitutae, è leggibile una lapide che ricorda le vittime del bombardamento angloamericano del 17 dicembre 1943, che si accingevano a recarsi nel rifugio ricavato dalla sottostante cavità.

L’area di S. Restituta è un interessantissimo esempio di architettura rupestre che da una cavità naturale ha ampliato progressivamente i suoi spazi, a partire dall’età tardo-punica. Tradizionalmente considerata sede di prigionia di S. Restituta, madre del vescovo di Vercelli S. Eusebio, è stata utilizzata come cisterna e luogo di culto nel corso di lunghi secoli. Conserva infatti le tracce di periodi diversi: un affresco medioevale di gusto bizantino (S. Giovanni Battista), altari seicenteschi, arredi risparmiati nella roccia e un’antica statua marmorea della Santa.

Sulle pareti sono incisi graffiti  che ricordano anche l’uso della cripta come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale. Soprastante la cavità è la chiesa seicentesca, non più officiata da parecchi decenni, oggi sede di un’associazione ricreativa (GIOC). Usciti dall’ipogeo, si può risalire la via a sinistra per giungere fino alla chiesa e carcere di S. Efisio. Situato nel cuore del quartiere, l’edificio è un interessante esempio di Barocchetto piemontese, costruito nella seconda metà del Settecento su un precedente impianto medioevale. Vi è custodito il cocchio usato il 1° maggio di ogni anno per la spettacolare e ricchissima processione, legata al voto per la fine della peste del 1656 e diretta a Nora (Pula), dove il Santo subì il martirio. Ad essa partecipano i rappresentanti di moltissimi paesi dell’isola con i loro costumi tradizionali, traccas (carri) addobbati a festa , miliziani a cavallo, autorità civili e religiose. Il “carcere”, al quale si accede dall’esterno, fu utilizzato anche come cisterna e luogo di culto.

Ridiscesi verso la via Azuni, si può proseguire lungo la salita alla fine della quale appare in posizione preminente la ricca facciata della chiesa di S. Michele, un tempo annessa al Noviziato dei Gesuiti, oggi Ospedale Militare. Costruito tra il 1674 e il 1738, l’edificio presenta un grande atrio conducente verso i locali dell’Ospedale Militare a sinistra, e, tramite una scalinata, alla chiesa vera e propria. E’ certamente l’esempio più compiuto ed unitario di Barocco della città che già nelle decorazioni della facciata denuncia la ricchezza di soluzioni riguardanti, in particolare, le tre finestre sormontate da timpani spezzati retti ciascuno da una coppia di telamoni e dai tre ordini di colonne progressivamente meno alti, che richiamano i retabli di tradizione iberica.

L’interno è concluso con un profondo presbiterio dove è collocato il ricco cenotafio del benefattore Francescangelo Dessì, morto nel 1674, che grazie alla sua generosità consentì la costruzione del complesso gesuitico. Le pareti e la cupola sono un trionfo di marmi policromi, stucchi, tele, statue, visibili ulteriormente nell’antisacrestia (dove sono custodite le belle statue “da vestire” di Giuseppe Antonio Lonis e grandi tele con i Misteri di scuola spagnola) e nella sacrestia, l’ambiente che maggiormente si avvicina al gusto Rococò settecentesco.

E’ un’ampia aula rettangolare coperta con una volta a lunette, che custodisce un ricco apparato decorativo: la volta decorata con affreschi e stucchi da Giacomo Altomonte e Domenico Colombino, autori anche della vasta tela raffigurante La strage degli Innocenti, collocata nella parete d’ingresso, un gruppo di tele con ricchissima cornice di legno intagliato raffiguranti martiri gesuitici, arredi lignei intarsiati e dipinti. Nell’atrio d’ingresso è collocato il pulpito marmoreo detto “di Carlo V”, un tempo all’interno della chiesa di S. Francesco di Stampace, demolita nel 1875, e qui trasferito ai primi del Novecento. E’ un’interessante scultura di gusto rinascimentale con decorazioni vegetali e mascheroni ed una scritta che ricorda la permanenza a Cagliari dell’imperatore prima della spedizione a Tunisi del 1535. Da qui Carlo V avrebbe assistito alla messa nella chiesa stampacina

Usciti dalla chiesa di S. Michele, a destra  si procede attraverso il Portico dello Sperone o degli Alberti, unico resto della cinta muraria del quartiere di Stampace, già trascurata a partire dal Cinquecento e progressivamente smantellata.

Costruita con la tipica pietra cagliaritana, il calcare, risale al 1293 come ricorda la lapide murata sopra l’arco.

Risalendo a destra per la via S. Ignazio da Laconi si trovano in sequenza l’Orto Botanico, l’Anfiteatro romano e, di fronte, l’Orto dei Cappuccini (per i quali si veda l’itinerario La città di pietra).

A fianco del Centro di solidarietà “Giovanni Paolo II”, ex casa di ricovero e già convento francescano, sorgono la chiesa e il nuovo convento di S. Antonio dei Cappuccini. Più conosciuta con il titolo di S. Ignazio da Laconi, il popolare cappuccino vissuto nel convento intorno nel Settecento, la chiesa fu costruita a partire dalla fine del Cinquecento, ma è stata ampiamente rimaneggiata nel corso dei secoli. La facciata attuale , realizzata nella seconda metà del sec. XX, sostituisce l’originaria che aveva un terminale orizzontale con i merli. L’interno ha la navata principale voltata a botte e rinforzata da archi traversi, mentre sul lato destro si aprono tre cappelle coperte con cupola ottagona e sul sinistro si colloca il ricco e articolato santuario di S. Ignazio: contiene la teca di cristallo con le spoglie del santo ed ha pareti, volte e cupola  ricoperte con mosaici realizzati dopo la canonizzazione del frate francescano avvenuta nel 1951 (A. Gatto).

Sull’altare maggiore è un tabernacolo ligneo in forma di tempietto, appartenente alla tradizione dei Cappuccini. A sinistra del presbiterio si può accedere alla cella del Santo, ricoperta di numerosi ex voto. Nella cappella centrale a destra è il sarcofago del Beato Fra Nicola da Gesturi (1882-1958).Nel periodo natalizio è possibile ammirare un ricco e ampio Presepio con figure semoventi, tradizionalmente predisposto dai frati ogni anno. Davanti alla chiesa è visibile il monumento a S. Ignazio da Laconi, scolpito da Franco D’Aspro.

Risalendo lungo l’esterno dell’Anfiteatro romano si giunge nella spianata del Buon Cammino, dove oltre ad osservare alcuni dei poderosi bastioni della cinta muraria piemontese si può imboccare la salita della via SS. Lorenzo e Pancrazio, che conduce all’omonima chiesa, una delle più singolari della città. La chiesa, citata in un documento del 1263 con l’intitolazione a Sanctum Brancasium, è divisa in due navate, ciascuna con la propria abside, separate da grossi e tozzi pilastri di calcare, che reggono volte a botte con archi di rinforzo, risalenti almeno al sec. XII.

Sono interessanti i conci di pietra con incavi, un tempo contenenti bacini ceramici, riutilizzati nella parte centrale della chiesa, la più antica, e provenienti dalla facciata. Questa fu modificata con l’aggiunta di un piccolo loggiato con l’ingresso ornato da una lunetta archiacuta contenente un rilievo con la Madonna del Buon Cammino, altra intitolazione della chiesa. Nel corso del Settecento vennero aggiunte le cappelle laterali, coperte da cupole emisferiche visibili già dall’esterno e offerte da devoti, come ricordano le lapidi murate.

In prossimità della chiesa è situato il grandioso edificio del carcere di Buon Cammino, realizzato a fine Ottocento e parzialmente poggiante su antichi bastioni visibili dal sottostante viale S. Vincenzo. Imboccando la strada limitrofa al carcere, ricavata nella roccia calcarea, si può giungere al Giardino pubblico, alla sommità del quartiere di Villanova.