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    Cagliari Marina

Itinerario turistico “la città di pietra”

Cagliari è una città di pietra come altre che possono vantare una lunga storia: le pietre più evidenti  sono le poderose fortificazioni che corrono per tutto il perimetro del Castello, rivelando bastioni, rivellini, spalti, a testimonianza dell’antica funzione di difesa, ininterrottamente sviluppata dai Pisani fino ai Piemontesi. Sono visibili anche le trasformazioni e gli adattamenti che inevitabilmente la vita moderna ha imposto, a cominciare dagli ascensori che permettono di raggiungere l’antico quartiere. Le mura meglio visibili sono quelle della cortina occidentale, poiché libere dalle costruzioni che in molti casi si sono addossate nel corso dei secoli.

Pur con interruzioni è possibile seguire il percorso delle mura, uscendo dalla piazza Arsenale attraverso l’archivolto di S. Pancrazio, modificato per il passaggio del tram agli inizi del Novecento. La strada visibilmente tagliata nella roccia calcarea presenta a sinistra una lapide murata che ricorda la porta de s’Avanzada, voluta da Vittorio Amedeo III nel 1728, ma oggi distrutta.. Scendendo lungo la passeggiata del Terrapieno sono quindi visibili i bastioni della parete orientale, che mostrano chiaramente i vertici smussati intorno al 1930 per sistemare la strada carrozzabile: gli antichi rivellini sono perfettamente individuabili anche per l’evidente contrasto con il nuovo paramento di pietra.

Il soprastante Bastione del Palazzo Regio è sottolineato da possenti contrafforti ad arco che reggono l’edificio. Scendendo lungo il viale Regina Elena si trovano gli ascensori che consentono di salire al Castello, prima di arrivare al Bastione di Saint Remy. Dalla piazza Costituzione proseguendo per la piazza Martiri d’Italia si può salire nella via Mazzini fino a giungere alla porta dei Leoni, che prende il nome dalle due teste marmoree che la ornano.

Superato l’arco si imbocca la via Università per discendere prima della torre dell’Elefante a sinistra dove comincia il Cammino Nuovo. Lungo la ripida discesa si scorgono gli affioramenti di calcare che costituiscono le fondazioni della poderosa cinta muraria. Dallo spazio oggi adibito a parcheggio si può comodamente osservare il soprastante Bastione di S. Croce che mostra le sue pareti oblique, in parte occupate da edifici monumentali. Risalendo fino alla via Fiume si vede il muro a scarpa con il suo andamento obliquo che rivela un autentico patchwork di pietre di tipo e pezzature differenti e di mattoni, usati evidentemente per il consolidamento o il rifacimento delle mura, e, più avanti, una torre circolare della cinta pisana.

Giunti alla sommità della strada si prende il viale Buon Cammino a sinistra, dove alla confluenza con la via Anfiteatro sono i bastioni di S. Filippo e del Beato Emanuele, che ci portano verso una zona ad “alta densità archeologica”, permettendo di continuare con un itinerario più specificamente legato alla archeologia urbana. Vi sono infatti pietre più nascoste e più antiche che invitano a scoprire un passato ancora più lontano, risalente almeno alla presenza dei Romani a Cagliari. Oggi molte sono nuovamente interrate dopo gli scavi, spesso casuali, che ne avevano rivelato le tracce, e quindi diventa difficile, quando non impossibile, vederle. Altre attendono una valorizzazione con una sistemazione adeguata, mentre altri luoghi sono visibili ancora frammisti alla città di oggi.

Il grandioso Anfiteatro romano si raggiunge attraverso l’ingresso situato nella discesa del viale S. Ignazio da Laconi. Risalente al II sec. d.C., è quasi interamente scavato nella roccia calcarea delle pendici del colle Buon Cammino. Rimangono l’arena con le gallerie sotterranee, la cavea con parte delle gradinate e delle condutture idriche, ma è andato perduto il grandioso prospetto meridionale in pietra, che chiudeva l’ellisse a valle e che fu utilizzato dal Medioevo come materiale da costruzione. Si presume potesse contenere circa diecimila spettatori.

Acquisito dal Comune nel 1866, fu usato sporadicamente come luogo per spettacoli nei primi decenni del  sec. XX. A partire dal 1956 è stato adattato ogni estate, pur con interruzioni, per ospitare opere liriche, alle quali si sono aggiunte nel corso degli anni manifestazioni diverse di grande richiamo. Ultimamente la cavea è stata rivestita con gradinate in legno che ne compromettono la visione generale.In fondo all’arena attraverso un lungo corridoio si può giungere alla grande cisterna sotterranea, situata nell’Orto dei Cappuccini. Attraversata la strada, nel Centro di solidarietà “Giovanni Paolo II, si trova l’Orto dei Cappuccini, oggi appartenente al Comune.

Nel suo interno si aprono alcune cisterne di poderose dimensioni, scavate nel calcare e adibite a contenere riserve d’acqua grazie alla impermeabilizzazione. In precedenza il luogo servì come cava di pietra per la realizzazione del vicino Anfiteatro. Fu poi adattato a carcere come suggerisce la presenza di numerosi anelli per le catene, fissate nelle pareti. Accanto ad uno di essi è stato rinvenuto un graffito paleocristiano, collocabile intorno al sec. IV a. C., con l’immagine simbolica della Navicula Petri, ossia la Nave della Chiesa con l’albero per la vela costituito dal monogramma di Cristo e con i dodici apostoli, raffigurati come pescatori di anime.

Si ipotizza che l’autore sia un cristiano destinato ai giochi del vicino anfiteatro. Scendendo lungo il viale S. Ignazio da Laconi, si possono osservare alcune facoltà universitarie, parzialmente ubicate in costruzioni già adibite a ricoveri e ospizi, che agli inizi del Novecento davano il nome al viale per la loro concentrazione in una parte della città allora fuori mano. Girando a sinistra, al di là di un grande cancello si trova l’ingresso dell’Orto Botanico, che fa parte della facoltà universitaria di Scienze naturali. Impiantato nel 1866, occupa la vasta valle di Palabanda, storicamente legata ad una congiura di notabili cagliaritani contro il governo piemontese (1812), ed è ricchissimo di specie diverse, tutte indicate dai relativi cartellini esplicativi. Tra i tanti  esemplari si possono citare alcuni alberi monumentali dei generi Ficus, Phytolacca, Eucalyptus, ed, in particolare, l’Euphorbia canariensis, situata in prossimità dell’Anfiteatro.

Vi è anche un interessantissimo settore di piante tropicali, perfettamente acclimatate a Cagliari, ed uno di piante medicinali raggruppate a seconda degli usi terapeutici di ciascuna. Nella parte più interna conserva alcuni manufatti in uso nell’età romana, collegati agli altri notevoli resti di quell’epoca nella zona circostante. La più grande delle cisterne è del tipo “a bottiglia”, presentando l’imboccatura originaria ostruita e il successivo, lungo canale realizzato per regolare il deflusso e la portata dell’acqua. Dal punto di vista archeologico è di grande interesse la presenza di opere idrauliche per le quali si ipotizza l’esistenza di un giardino con canali artificiali della Carales romana.

Davanti all’ingresso dell’Orto Botanico, la discesa della via Tigellio conduce ad un’area archeologica recintata, popolarmente chiamata “Villa di Tigellio“, dal nome di un cantore sardo attivo alla corte dell’imperatore Augusto. In realtà è un raggruppamento di domus, facente parte di un’area residenziale della Carales romana, sorto alla fine del sec. I a. C., ma frequentato almeno fino al sec. VII dell’era cristiana. I resti di tre abitazioni adiacenti, che seguono l’andamento a dislivelli del terreno, sono separati tramite un viottolo dalle terme di cui rimane traccia del calidarium. Le case hanno un atrio con le colonne che delimitavano l’impluvium per la raccolta dell’acqua piovana, un tablinum, sorta di piccolo studio, e i cubicula per la notte. Gli scavi, cominciati a fine Ottocento e ripresi in più tempi, hanno restituito decorazioni parietali e mosaici pavimentali, originando il nome di due delle domus (la “casa degli stucchi” e la “casa del tablino dipinto”). Tutto il complesso archeologico è comunque di non facilissima lettura.

Riprendendo la via Tigellio in discesa, si giunge nel corso Vittorio Emanuele, primo tratto urbano della S.S. Carlo Felice, dove, superata la chiesa dell’Annunziata, di impianto secentesco con rifacimenti otto-novecenteschi, comincia il viale Trento, dove sorgono diverse ville signorili di inizio Novecento ed edifici privati più recenti che nel loro interno conservano tracce significative della città antica. Si può ora continuare lungo la stessa strada, dove è situato il grande edificio sede principale della Regione Autonoma della Sardegna, prima di giungere ad uno spazio verde dove è ubicata la croce giurisdizionale all’incrocio con il viale Trieste. Qui comincia l’antico sobborgo di S. Avendrace, abitato prevalentemente da pescatori, un tempo separato dalla città e oggi quasi completamente sostituito da palazzi multipiano che si sviluppano tra le pendici del colle di Tuvixeddu e le rive dello stagno di S. Gilla.

Si imbocca il viale S. Avendrace, già principale uscita dalla città verso Ovest e luogo di sepolture pagane e cristiane. Una di queste è ancora visibile al numero civico 87: è la tomba suggestivamente chiamata Grotta della Vipera. Situata nella necropoli occidentale dell’antica Carales, è in realtà un sepolcro scavato nella roccia, che deve il nome a due serpenti scolpiti nell’architrave e identificati come simbolo della fedeltà coniugale. La facciata, oggi rovinata, riproduceva infatti un tempio ionico con timpano, colonne e camera interna, interessata anche dal riuso e dalla attività di cava. La tomba fu predisposta nel II sec. d.C. dal romano Cassio Filippo per la morte della moglie Atilia Pomptilia, ricordata anche in teneri versi in greco e in latino incisi sulle pareti, oggi illeggibili, che esaltavano le virtù della defunta con riferimenti mitologici e letterari.

Nel 1822 il monumento fu risparmiato dalla distruzione per l’intervento di Alberto della Marmora, durante la sistemazione della Strada Reale “Carlo Felice”, lungo un percorso fitto di sepolture risalenti anche alla successiva età cristiana.